Gestisci un’organizzazione, ma hai notato poco coinvolgimento tra i collaboratori?
Ecco, la soluzione: engagement.

Quante volte hai sentito questo termine?
Viene utilizzato quasi a sproposito, talvolta addirittura con sfaccettature distorte.
In realtà, l’engagement è il risultato delle scelte di un’azienda sul fronte dei propri collaboratori e del rapporto che costruisce con loro.

Il termine engagement indica il coinvolgimento, anche emotivo, che il lavoratore prova nei confronti dell’organizzazione in cui opera.
Affinché si generi questo sentimento è necessario che il lavoratore viva delle esperienze specifiche: queste esperienze devono verificarsi sin dal primo incontro con l’azienda, per poi ripresentarsi con il primo inserimento e con l’evoluzione di carriera.
Solitamente, un’azienda sana produttiva riesce a raggiungere e mantenere un buon livello di engagement.
Un basso livello evidenzia delle criticità a livello di HR o di people management.

Non esiste un modello unico per rispondere all’esigenza aziendale di promuovere un attivo senso di appartenenza.
Insieme possiamo sviluppare una strategia per creare coinvolgimento tra i dipendenti.
Per farlo dobbiamo considerare insieme i trend sociali, demografici e valoriali locali.

Come si fa quindi a ottenere engagement?
Bisogna strutturare una politica delle risorse umane che favorisca il coinvolgimento: non tutti hanno uguali vantaggi prospettive.
Per tale ragione dobbiamo trovare insieme il modo per favorire soluzioni win-win, così da prevenire alcune forme di conflitto.

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All’interno di un team possono crearsi varie tipologie di disinvestimento: può essere sul fronte energetico, ma anche su quello emotivo.

Se un collaboratore non è più interessato alle prospettive aziendali, per lui si crea disillusione e di conseguenza sarà portato ad allontanarsi emotivamente dall’azienda e rimarrà focalizzato soltanto sulla concretezza del lavoro.

Non è finita qui.
Il collaboratore potrebbe avvertire anche un senso di frustrazione per le pratiche lavorative e in questo caso tollererà meno facilmente i problemi o le incomprensioni che si verificheranno all’interno dell’organizzazione.

Dulcis in fundo, arriva l’auto-centratura: il collaboratore si limiterà a portare a termine i suoi obblighi formali e nient’altro, non si dimostrerà propositivo né interessato ad altro.

Questa escalation che termina con l’esaurimento professionale può danneggiare enormemente le dinamiche interne all’organizzazione, con maggiori ritardi, assenze più frequenti e anche atteggiamenti inadeguati nei confronti del management, dei colleghi, dei clienti.
La maggior parte dei lavoratori che si trovano in questa situazione reagisce concentrandosi sul mantenimento del posto di lavoro e cerca soddisfazione all’esterno dell’organizzazione.

Questa viene definita una situazione di patologia organizzativa: se, nella migliore delle ipotesi, ci fermiamo ai primi problemi elencati notiamo un’evidente perdita di performance; se proseguiamo oltre vediamo anche la perdita di know-how, quindi relazioni, rapporti e immagine aziendale.

Como possiamo risolvere i problemi legati al coinvolgimento?
Creando insieme delle politiche di Talent Management consapevoli, orientate a garantire all’azienda una comunità professionale performante e costantemente soddisfatta.

Per trasformare il talento dei lavoratori in performance l’azienda deve agire concretamente e farsi guidare da un esperto.

Bisogna comunque pensare alle persone come uniche, particolari, diverse, con talenti debolezzebisogni paure.
Il lavoro non è soltanto un modo di mantenersi, ma la strada per dare senso alla propria esistenza, uno scopo da raggiungere che le farà sentire realizzate, sia per contatti interpersonali che per la soddisfazione di aver svolto l’attività.
Se queste condizioni sono assenti, molti lavoratori rispondono con un feedback disattento.
Questo significa solo una cosa: fallimento.
Non è colpa loro, né è un fallimento solo loro, ma è sintomo dell’insuccesso di alcune politiche aziendali.

Come ripensare i processi di talent management?